
Il trust, strumento giuridico di origine anglosassone, è spesso associato a vantaggi fiscali significativi, specialmente se costituito in giurisdizioni con regimi tributari favorevoli. Tuttavia, la sua efficacia nel ridurre l’onere fiscale dipende da una complessa interazione tra legislazione locale, normativa internazionale e contesto personale del beneficiario.
Alcune giurisdizioni, come Jersey, Malta o alcune realtà offshore regolamentate, offrono regimi fiscali vantaggiosi per i trust, tra cui l’assenza di imposte sulle successioni, sulle plusvalenze o sui redditi da capitale. In questi casi, il trust può diventare un veicolo per proteggere il patrimonio da eventi impositivi, preservando il valore degli asset per le generazioni future. L’esenzione dalle tasse di successione, ad esempio, è particolarmente rilevante per individui con patrimoni transnazionali, permettendo di trasferire beni senza erodere il capitale con prelievi forfettari.
La pianificazione fiscale tramite trust non può prescindere dagli obblighi di trasparenza internazionale. Standard come il CRS (Common Reporting Standard) o il FATCA impongono lo scambio automatico di informazioni tra giurisdizioni, rendendo essenziale la dichiarazione degli asset detenuti in trust alle autorità fiscali del paese di residenza del beneficiario. Inoltre, molte legislazioni nazionali hanno introdotto norme anti-abuso (come la “clausola di salvaguardia” in Italia) che tassano trasferimenti verso trust esteri se privi di una motivazione legittima non fiscale.
Giurisdizioni tradizionalmente “fiscali” richiedono oggi che il trust dimostri una sostanza economica reale: la presenza di un trustee locale, decisioni strategiche assunte nel territorio e una gestione attiva degli asset. Questo contrasta con l’approccio puramente cartolare, orientando verso strutture ben organizzate e integrate con la strategia patrimoniale complessiva del disponente.
Un trust mal progettato può generare conseguenze indesiderate, come la tassazione retroattiva o contestazioni legali. Al contrario, se strutturato in modo coerente con le finalità del disponente (protezione patrimoniale, pianificazione successoria, filantropia), il trust può legittimamente ridurre l’esposizione fiscale, a patto che rispetti i principi di “arm’s length” e non violi le normative anti-elusive.
La risposta alla domanda “è possibile ridurre le tasse con un trust?” è sì, ma con importanti caveat. Il successo dipende dalla scelta della giurisdizione, dall’allineamento con gli standard internazionali e dalla capacità di dimostrare una finalità legittima oltre il mero risparmio fiscale.
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